Leggendo i titoli dei giornali sono rimasto colpito da tre notizie, storie ordinarie di morte e violenza ma che hanno tutte qualcosa in comune, un filo rosso inquietante: l’abuso dell’auto.
Storie in cui è difficile prendere posizione, distinguere fra buoni e cattivi, come se ormai stregati da un mezzo diabolico, fossimo tutti in qualche modo dannati.
Giudicate voi:
una donna tira dritto ad una rotonda, risale una scarpata, finisce nel canale e muore. Un carpentiere di 58 anni investe una donna, scappa, ma viene rintracciato e per il rimorso si suicida. All’uscita di scuola la mano di una ragazzina di 14 anni viene schiacciata tra un furgone di passaggio e l’auto su cui sta per salire, il padre e gli amici inseguono il guidatore e lo aggrediscono.
Fatti di cronaca locale, non grandi storie, eppure incutono un senso di disgusto proprio per la propria futilità. La signora forse avrà avuto un malore, ma se fosse andata piano (cosa raccomandabile sempre, specie imboccando una rotonda) si sarebbe fermata sul ciglio della strada. La velocità condanna anche il carpentiere: se fosse andato piano probabilmente non avrebbe colpito nessuno o nel caso fosse successo non avrebbe avuto la certezza di essere in torto e non sarebbe scappato. Il suicidio è solo un’ulteriore inutile violenza.
Ma la storia più grottesca è quella della ragazza che ora rischia di perdere le dita. Su La Stampa: “ La ressa fuori da scuola, il traffico, una ragazzina cerca di salire sull’auto del padre, un camion di una cooperativa di volontariato le schiaccia la mano contro la portiera, le trancia due falangi”.
C’è subito qualcosa che non va: la ressa fuori da scuola. Perché? Perché, in Italia, tutti devono portare i figli fin dentro la classe in auto. Lo stesso padre della quattordicenne ammette serenamente: “Ero parcheggiato sul lato sinistro del controviale, come tutti i giorni”. Ovvero ogni giorno parcheggia in divieto di sosta per andare a prendere una ragazza di 14 anni che potrebbe benissimo andare a scuola da sola, o quanto meno fare cento metri e raggiungere suo padre in un luogo meno congestionato. Ma è normale, lo fa tutti i giorni.
Poi chiaro che la colpa principale è dell'autista del furgone, che non ha senso passi proprio davanti alla scuola all’ora dell’uscita, o quanto meno non aspetti qualche secondo per passare, senza per forza doversi infilare tra auto e persone. Ma tutti abbiamo sempre fretta al volante.
L’episodio, come detto, scatenerà la violenza e una vera e propria caccia all’uomo.
Come sempre è difficile attribuire colpe e responsabilità, non perché non vi siano, ma perché sono molte di più di quelle che sembrano.
La prima colpa è di chi guida, certamente, che non rispetta le regole. La velocità e la fretta sono il demone di cui tutti siamo vittima. Ma non c’è anche una responsabilità di chi le norme le dovrebbe fare rispettare? Degli amministratori che dicono che non si devono penalizzare con le multe gli automobilisti che compiono delle infrazioni perché sono già tanto tartassati? Non c’è una responsabilità dei vigili che ogni giorno vedono le auto in divieto e nel caos davanti alle scuole e chiudono un occhio perché semplicemente non immaginano che possa esistere un modo diverso di accompagnare i figli? Non vi è la responsabilità di chi disegna le nostra città che non prevede degli spazi adeguati e sicuri per gli utenti leggeri della strada, magari proprio davanti alle scuole?
E da ultimo, non c’è la responsabilità di uno stato che da incentivi per le auto, ma taglia il trasporto pubblico? Che parla tanto di ciclabilità, ma non ci investe un euro?
Invece no, la follia automobilistica dilaga, ma tutti dormono sereni.
D’altronde si sa: è colpa di chi muore. Sulla cattiva strada.
beppe piras
La colpa è di tutti, quindi di nessuno, un comodo alibi per non far nulla. Ognuno/a accetta di correre dei piccoli rischi, senza rendersi conto che questi si sommano ai rischi che accettano di correre gli altri, facendoli diventare probabilità significative, facendoli diventare incidenti. Ma l'importante è smaltire il senso di colpa, trasferirlo agli altri, assieme alla responsabilità.
RispondiEliminaIo invece ho trovato terrificante la vicenda del padre che ha ucciso il figlio di due anni dimenticandolo in auto. Anche lui, sicuramente, troppi pensieri, stanchezza, responsabilità, stress, e la probabile sottovalutazione dei rischi.
La cosa che terrorizza me è che leggendo questa storia tutti penseranno: "a me non può succedere"...
IL FATTO E’ CHE QUANDO UNO SALE IN AUTO,L’IMPORTANTE E’ ARRIVARE IL PRIMA POSSIBILE, SENZA CURARSI DI NIENTE E NESSUNO. POI PENSA CHE GLI INCIDENTI SUCCEDANO AGLI ALTRI. PUO’ CORRERE A 180 KM ALL’ORA IN AUTOSTRADA, RITIENENDO IMPOSSIBILE CHE GLI CAPITI UN INCIDENTE, E NON LO SPAVENTA LA POSSIBILITA’ CHE POSSA MORIRE. PER LUI MORIRE IN AUTO E’ IMPOSSIBILE. E POI MAGARI NON MANGIA PIU’ IL POLLO PERCHE’ UNA GALLINA IN CINA HA L’INFLUENZA…
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